Algoritmo della cultura, sì o no?

By Emilia Campagna - July 4, 2016
Una doppia sentenza del Tar del Lazio boccia il decreto con cui un anno fa il Ministero della Cultura aveva introdotto il controverso algoritmo per l'assegnazione dei finanziamenti, ma così facendo blocca tutti i contributi 2015

Vi ricordate la vicenda dell’algoritmo della cultura in base al quale lo scorso anno per la prima volta il Ministero della Cultura Italiana assegnò – in modo spesso sorprendente – i finanziamenti per il 2015? All’epoca molte associazioni culturali e istituzioni concertistiche che si erano viste tagliare inaspettatamente i fondi promisero ricorsi, che sono puntualmente arrivati.

In particolare, pochi giorni fa il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato dal milanese Teatro Elfo-Puccini e dal Teatro Due di Parma e ha dunque bocciato il decreto ministeriale che dal gennaio 2015 regola la distribuzione dei finanziamenti statali (il Fus, 407milioni di euro), ovvero i contributi essenziali per teatro, musica, danza e circo italiani (escluse le fondazioni liriche e il cinema che hanno altri regolamenti), cancellando con un colpo di spugna l’ormai celebre e discusso algoritmo della cultura, che attraverso complicati calcoli sulla attività (quantitativa e qualitativa) assegnava il contributo alle singole realtà.

Il giudizio è sia sulla forma che sulla sostanza, perchè il tribunale amministrativo laziale ha considerato che il dm abbia prerogative amministrative e non di regolamento, non poteva cioè stabilire nuovi criteri di assegnazione del Fus; una forte critica va però anche dall’uso degli algoritmi: come recita un passaggio della sentenza, il collegio dei giudici “ritiene che questo sistema finisca con il rappresentare, di fatto, un’abdicazione al difficile ma ineludibile compito di una valutazione (percentualmente ma anche sostanzialmente) adeguata del fattore qualitativo, che solo può giustificare l’intervento finanziario statale in subiecta materia.”

Il Ministro Franceschini ha annunciato che impugnerà la sentenza, ma intanto la conseguenza immediata è il blocco di tutti i finanziamenti assegnati nel 2015: e dato che le commissioni non hanno ancora assegnato quelli per il 2016 sembra che per teatri e associazioni possa verosimilmente profilarsi un futuro di caos ancor più che di incertezza.

Art bonus, è mecenatismo?

By Emilia Campagna - August 27, 2015
A un anno dalla sua emanazione, pregi e limiti dell'Art Bonus, l'incentivo fiscale che chiama a raccolta i "mecenati"

Chi si aspettava un meccanismo “all’americana” è rimasto deluso: l’Art Bonus, il provvedimento varato nel maggio 2014 che consente la detrazione dalle imposte fino al 65% in tre anni per donazioni a sostegno della cultura, a un anno dalla sua nascita mostra i limiti di una concezione burocratica che ha dato finora meno frutti del previsto.

Eppure il sito creato ad hoc annunciava a una “Chiamata alle arti: Mecenati di oggi per l’Italia di domani” invitando calorosamente: “Diventa mecenate anche tu“. E il Ministro Dario Franceschini, rivolgendosi agli imprenditori, aveva tuonato: “Non avete più alibi”. Ma già il 10 novembre 2014 il Sole 24 Ore sulla scorta di una proiezione realizzata da Confcultura titolava “Art bonus, quello sconto piccolo piccolo” e sottolineava come per il momento l’appello non avesse avuto grandi riscontri, “complice la macchinosità dell’agevolazione e il suo scarso appeal soprattutto nei confronti delle aziende: per ottenere uno sconto di 50mila euro, spalmabile in tre anni, occorre avere ricavi per 10 milioni. Lo dimostrano le elaborazioni predisposte da Confcultura, l’associazione degli operatori privati dei beni culturali, che mettono invece in luce una maggiore convenienza per le persone fisiche, il cosiddetto micromecenatismo. Sulla fredda risposta dei mecenati può pesare il fatto che la novità debba ancora essere metabolizzata, così come non aiutano i tempi di magra che il Paese attraversa. A una lettura attenta delle regole dell’art-bonus, però, ci si accorge anche che il meccanismo dell’incentivo è meno seducente di quanto sia stato annunciato, soprattutto per quegli imprenditori chiamati a raccolta da Franceschini.”

Un altro limite del provvedimento, da più parti evidenziato, è di essere indirizzato ai soli beni pubblici, escludendo di fatto i beni e le attività di natura privatistica: iniziative private nella proprietà, eppur sempre di interesse pubblico, in quanto protagoniste attive del panorama culturale. Traducendo, se pensavate di usare l’Art Bonus per sostenere Theresia, siete fuori strada, non si può fare.

In ambito musicale il decreto menziona infatti espressamente le Fondazioni Lirico-sinfoniche e i Conservatori di Musica come enti che possono beneficiare di donazioni nell’ambito dell’Art Bonus, ma dimentica totalmente anche quelle Associazioni musicali, tra cui moltissime orchestre, che per la loro attività, generalmente senza fini di lucro, svolgono un effettivo servizio pubblico. E dal momento che l’Art Bonus si fonda in parte sull’idea del crowdfunding, in molti hanno deplorato il fatto che non lo si potesse estendere alle Associazioni, come altre forme di finanziamento, dai contributi alla scelta del 5 per mille. Lo ha sottolineato Barbara Boganini, Sovrintendente della Camerata Strumentale Città di Prato, sul Giornale delle Fondazioni: “Da un Art Bonus che si apre al crowdfunding volendo anche favorire le piccole donazioni, avremmo atteso come opportuno l’inserimento tra i beneficiari delle Istituzioni e Associazioni musicali che trarrebbero così reale sostegno alle proprie attività, a partire dai territori a cui appartengono.”

Del resto ad un attenta lettura del decreto appare evidente che le arti performative (concerti, teatro, ecc) sono escluse, salvo interventi di restauro e di potenziamento delle attività di Fondazioni lirico-sinfoniche o Conservatori: l’incentivo fiscale riguarda infatti “Interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, interventi per il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica e interventi per la realizzazione di nuove strutture, il restauro e il potenziamento di quelle esistenti delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo”.

I risultati, nelle varie città, sono stati tra i più diversi: se a Firenze su sono raggiunti i 18 milioni di euro di donazioni per interventi nel campo artistico e architettonico, a Torino è flop, come riportato a luglio sulla Stampa: tra le istituzioni musicali il Teatro dell’Opera di Roma ambisce a 37 milioni di Euro per “generico sostegno” e ne ha raccolto 500.000; la Fondazione Teatro Comunale di Bologna raccoglie 123.000 Euro sui 3 milioni previsti per il Sostegno alle attività per la Stagione d’Opera Balletto e Sinfonica dell’anno 2015; la Fenice, invece, è ancora ferma al palo. Salutato come positivo perchè rappresenta un primo concreto passo nella costruzione di un rapporto organico tra privati e cultura, l’Art Bonus ha ancora molta strada da fare: e con l’Art Bonus la mentalità generale e il senso civico. E forse bisognerebbe fare un po’ di distinzioni tra crowdfunding (sostenere un’iniziativa donando una certa somma sulla base di un appello per un progetto specifico), e vero mecenatismo (aderire pienamente a un’idea e sostenerla in prima persona, nel tempo).

Cappelletto e le profezie inascoltate

By Emilia Campagna - August 8, 2015
Sandro Cappelletto nel settembre scorso denunciava come i nuovi criteri di assegnazione dei finanziamenti avrebbero creato situazioni abnormi, cosa che si è verificata pochi giorni fa, con orchestre ed enti che si sono visti in alcuni casi azzerati i fondi.

Vale la pena di riproporre lo scambio di lettere che aveva opposto il Ministero al critico musicale Sandro Cappelletto, che ancora nel settembre scorso denunciava come i nuovi criteri di assegnazione dei finanziamenti avrebbero creato situazioni abnormi, cosa che si è puntualmente verificata pochi giorni fa, con orchestre ed enti di lungo corso e riconosciuta qualità che si sono visti in alcuni casi addirittura azzerati i fondi.

Salvatore Nastasi, Direttore generale per lo spettacolo dal vivo, nella sua lettera pubblicata il 10 settembre scorso sul quotidiano torinese, non ci stava a vedere denigrato il nuovo sistema: “Spiace constatare che l’intento della massima trasparenza riguardo ai nuovi criteri di attribuzione del Fondo unico per lo spettacolo, recentemente entrati in vigore, sia stato evidentemente travisato e distorto. Basterebbe una attenta lettura del nuovo Decreto per comprendere che coloro che dal prossimo anno chiederanno un contributo per la propria attività di spettacolo dal vivo non saranno tenuti a risolvere alcuna “complicatissima formula”.” Per Nastasi non solo comprensione e compilazione delle domande sarebbero stati alla portata di tutti, ma soprattutto sarebbe stata garantita la trasparenza perchè “l’attribuzione dei punteggi e quindi dei contributi non dovrà mai più rimanere oscura, come esplicitamente previsto dalle normative sugli appalti pubblici ed ormai è prassi consolidata nei bandi di gara europei. Può essere comprensibile un primo timore di fronte al linguaggio matematico, ma esso è utilizzato esclusivamente per far conoscere a chiunque il funzionamento del sistema di calcolo, non affinché lo si utilizzi (infatti è contenuto negli allegati del decreto).”  La difesa dei nuovi criteri puntava allora soprattutto sul fatto che non ci sarebbero stati più “finanziamenti soggettivi e discrezionali, ma esclusivamente basati sul merito e l’oggettività. Forse chi ritiene “troppo burocratico” questo modello preferisce tornare all’antico e rassicurante sistema dell’”amico di” e del “conosco io chi ti può aiutare”. Un sistema in cui molti hanno ottenuto ben più di quanto avrebbero meritato, escludendo dai finanziamenti realtà assai più capaci ma prive di relazioni e interessati sostenitori. Meno schematico e ragionato, forse, ma sicuramente ingiusto.”

Cappelletto non ci stava: “La lettera aperta al Ministro Franceschini pubblicata sul sito della Stampa è partita dopo aver ascoltato lo stupore, lo sgomento, in qualche caso la rabbia, di tanti operatori musicali onesti che lavorano nel nostro Paese e che per gran parte delle loro risorse dipendono dal finanziamento pubblico. Temono non quella che lei definisce “massima trasparenza”, sempre benvenuta, ma un’ìinterpretazione incontrollabile dei dati da loro forniti. L’oscurità della tecnica.” E incalzava: “A leggere la sua risposta, si ha la sensazione che finora, cioè negli ultimi 50 anni, da quando il sostegno alle attività di spettacolo è diventato un impegno dello Stato, siano prevalsi i “finanziamenti soggettivi e discrezionali”, incuranti del “merito”. Dove va a finire la discrezionalità della politica, la sua capacità non di elargire favori e creare clientele, ma di indicare strategie, obiettivi, di saper scegliere? Se la politica si appella alla tecnica per salvarsi, allora intona il proprio Requiem. ” E il 22 luglio scorso, all’indomani delle dimissioni polemiche di Silvia Colasanti, aveva rilanciato l’allarme sulla scorta dele prime indiscrezioni: Orchestra Sinfonica Siciliana: più 754 mila euro. Orchestra Toscanini di Parma: meno 230 mila euro. Corsi di perfezionamento di Duino, eccellenza nel campo della musica da camera: cancellati. Cemat, struttura che promuove la musica contemporanea: in liquidazione. Anbima e Feniarco, associazioni che raggruppano migliaia di bande e di cori: zero sovvenzioni.  Dal ministero dei Beni culturali filtrano le prime clamorose indiscrezioni sui contributi 2015 alle attività di spettacolo.” Indiscrezioni confermate: ora le associazioni promettono ricorsi. Ed è una vittoria, in negativo, della peggiore burocrazia.

 

 

Se un algoritmo fa chiudere le orchestre

By theresia - August 7, 2015
Molte associazioni culturali e istituzioni concertistiche che si sono viste tagliare inaspettatamente i fondi promettono ricorsi contro una situazione paradossale che secondo qualcuno ha come colpevole un algoritmo.

L’allarme l’ha lanciato oggi il giornalista e critico musicale Sandro Cappelletto sulle pagine della “La Stampa”: “La scure del governo taglia due terzi della musica italiana”, titola il quotidiano torinese, all’indomani della nota pubblicata sul sito del MiBAC, Ministero per i Beni Artistici e Culturali, con i numeri dei finanziamenti 2015 alla cultura: “Oltre 60 realtà musicali sono state «non ammesse al contributo», cioè condannate a morte. Molte altre, pesantemente penalizzate, alcune premiate. In più di un caso, sfuggono i criteri delle scelte e l’oggettività che doveva essere garantita dai parametri del nuovo decreto appare penalizzata da decisioni tutt’altro che inattaccabili. Perché 750 mila euro in più all’Orchestra Sinfonica Siciliana e 240 mila in meno alla Toscanini di Parma? E perché, mentre dal governo giungono continui inviti alla ricerca e alla sperimentazione, punire le realtà più attive, il Centro Ricerche Musicali, di livello assoluto, l’Ex Novo Ensemble di Venezia, storico gruppo dedicato alla contemporanea, l’Associazione Nuova Consonanza di Roma, palestra di tanti giovani compositori?” E nel suo editoriale Alberto Mattioli affonda: “Le startup dello spettacolo sono punite, premiati gli amici degli amici. Una perfetta selezione al contrario, pura macelleria culturale.”

Molte associazioni culturali e istituzioni concertistiche che si sono viste tagliare inaspettatamente i fondi (o addirittura azzerati, come è successo all’Orchestra dell’Università Roma Tre o al Cemat) promettono ricorsi contro una situazione paradossale che secondo qualcuno ha come colpevole un algoritmo. I nuovi criteri introdotti quest’anno sono infatti basati su un algoritmo che, come qualcuno temeva, ha dato risultati sorprendenti. E un mese fa, il 7 luglio, la compositrice Silvia Colasanti si era dimessa dalla Commissione del Fus incaricata di valutare le domande per i contributi 2015, proprio in segno di protesta contro l’inaffidabilità del sistema  La compositrice romana ha inviato una lettera al ministro Dario Franceschini e al direttore generale dello Spettacolo dal vivo Salvatore Nastasi, motivando la sua decisione col fatto che l’attuale legge (il D. M. del 1° luglio 2014 sullo spettacolo dal vivo) lascerebbe poco spazio all’aspetto qualitativo nella valutazione dell’attività delle varie istituzioni musicali, mettendola dunque nell’impossibilità di perseguire gli obiettivi culturali legati al suo ruolo. Eppure il direttore generale del Ministero, Salvatore Nastasi, che aveva fortemente voluto questi nuovi criteri, aveva affermato che avrebbero portato come risultato «non più finanziamenti soggettivi e discrezionali, ma esclusivamente basati sul merito e l’oggettività».

Il paradosso di agosto è la foglia di fico che cade dalle vergogne di un sistema spesso incapace di valutare l’arte, in cui alle magagne del favoritismo si risponde con l’esacerbazione delle pastoie burocratiche; baratri cui le riposte del mecenatismo privato sono ancora, soprattutto  nel mondo musicale, gocce nell’oceano.